Facile dire didascalia, ma avete mai pensato di scriverne una?
I Servizi Educativi dell’Accademia Carrara hanno proposto un’esperienza partecipativa, invitando diverse tipologie di pubblici per età e provenienza a realizzare non una didascalia “classica”, scritta da specialisti, ma un testo che contiene gli aspetti dell’opera ritenuti più significativi dai partecipanti all’iniziativa.
La prima didascalia, dedicata al dipinto seicentesco Visione di Sant’Uberto con ritratto di gentiluomo di Carlo Ceresa, ha inaugurato il progetto di didascalie create dai visitatori.
Inizialmente presentate on line, quando avranno raggiunto il numero di cinque, le nuove didascalie saranno esposte accanto ai dipinti prescelti, a formare così un altro livello comunicativo.
Facile dire didascalia… 19 febbraio 2017
Sandro Botticelli
Firenze 1445 – Firenze 1510
Storia di Virginia Romana, 1500-1510
Tempera su tavola
Collezione Giovanni Morelli, 1891
Sandro Botticelli racconta la storia esemplare di Virginia Romana, una giovane plebea concupita dal console Appio Claudio; il racconto si svolge all’interno di un’architettura che favorisce la sequenza dei diversi episodi.
Virginia, figura centrale intorno alla quale si svolge il racconto, è raffigurata sulla sinistra nel momento in cui viene rapita per ordine di Appio Claudio; sulle gradinate è rappresentato l’ingiusto processo contro di lei. La narrazione assume toni drammatici nell’episodio sulla destra del dipinto: Virginia è uccisa dal padre, costretto a farlo contro il suo volere, per salvarla dal sopruso e dal disonore.
Il susseguirsi dei momenti, come un flusso continuo, si conclude nella parte centrale con la sommossa dei plebei contro il console. In quest’ultima cruciale scena, Botticelli richiama l’importanza di valori quali la virtù, l’onestà e l’onore. La composizione assume anche un significato politico: il gesto disperato del padre innesca la scintilla che provoca la rivolta sociale contro un sistema corrotto.
Quest’opera appartiene alla maturità di Botticelli, che in quegli anni, influenzato dalle prediche di Savonarola, inserisce nelle sue opere riflessioni sulle ingiustizie del potere e le insensatezze dell’umanità. Un periodo inquieto e tormentato, di cui è espressione anche lo stile pittorico, discostandosi dalla tradizionale armonia dei dipinti rinascimentali.
Facile dire didascalia… 12 novembre 2016
Carlo Ceresa
San Giovanni Bianco 1609 – Bergamo 1679
Visione di Sant’Uberto con ritratto di gentiluomo
1650 circa
Deposito UBI – Banca Popolare di Bergamo, 2016
Olio su tela | 243,8 x 198,4 cm
Il devoto personaggio sulla sinistra è Uberto, nobile francese dell’VIII secolo, inginocchiato davanti al Crocefisso che appare tra le corna di un cervo. Uberto è venerato come santo patrono dei cacciatori.
La composizione della scena dispone due figure lungo le diagonali che si incrociano al centro del dipinto: il committente dell’opera, forse un componente della famiglia Oberti se il santo si identifica in Uberto, con un gesto della mano conduce lo sguardo dell’osservatore verso l’episodio sacro.
Il committente è vestito secondo la moda francese del Seicento: indossa una giubba rossa con alamari, fascia d’oro e stivali detti a “muso di bue”; il santo è invece abbigliato come un principe medievale. Ceresa ha abilmente unito due mondi distanti: quello della realtà seicentesca e quello di un’antica visione miracolosa.
Importante la presenza della natura e degli animali: le figure sono immerse in una valle boschiva che ricorda i luoghi natali dell’artista. Oltre al cervo, protagonista nella visione del Crocefisso, il cavallo sembra inchinarsi per fare spazio ai protagonisti; due cani mansueti restano in disparte. La natura accentua l’impressione di un’immobilità fuori dal tempo: nonostante sia raffigurata una scena di caccia, regna un’atmosfera quieta e sospesa.
La ricca cromia del dipinto è dominata dal rosso dell’abito del nobile e dal blu della calzamaglia del santo, pigmento prezioso poiché ottenuto mediante la lavorazione di lapislazzuli.
Info e prenotazioni
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