La pelle della scultura. Forme e significati della superficie scultorea dal Quattrocento a oggi

Il convegno di studi La pelle della scultura intende indagare gli oggetti tridimensionali secondo un punto di vista nuovo, spesso ignorato dagli osservatori che nei secoli si sono misurati con le opere scultoree: quello sulla superficie. L’attenzione ai delimitati parametri del volume e della geometria delle forme, infatti, ha spesso distolto lo sguardo degli osservatori antichi e moderni da valori quali il colore, la texture e gli interventi superficiali sui diversi materiali.

L’interesse per le qualità della pelle della scultura permette, invece, di fare luce sull’intero corso vitale delle opere, dall’ideazione da parte dei maestri, alla realizzazione e finitura nelle botteghe o negli studi d’artista, alle modifiche subite a causa del gusto e della storia collezionistica e rituale attraverso i secoli, nonché alle potenzialità offerte dalla superficie quale medium comunicativo nei moderni percorsi di accessibilità museale.

La volontà di creare un’occasione di confronto e dialogo su questi temi ha suggerito di arruolare fra gli studiosi di scultura delle Università italiane un preciso gruppo di ricerca, aperto a una sana pluralità di esperienze e metodi. Le tre giornate di studio si articolano in cinque differenti sessioni, durante le quali verranno presentati alcuni casi studio particolarmente rilevanti, lungo una cronologia che attraversa gli sviluppi funzionali, materiali, stilistici ed espressivi della scultura dal Rinascimento sino al Novecento.

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PROGRAMMA

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE

1a Sessione 9.30 – 13.00
[modera Andrea Di Lorenzo]

Giulia Zaccariotto, Gianmarco Russo
Curatori del convegno
Le ragioni del convegno

Paolo Parmiggiani
Scuola Normale Superiore di Pisa
Varietà e sottigliezza dell’intaglio marmoreo: il ruolo dei settignanesi nella scultura fiorentina del Quattrocento

Lorenzo Mascheretti
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
“Incidere” la tarsia lignea. Note sulla pratica della profilatura

Virna Ravaglia
Università degli Studi di Bologna
Morbide superfici: riflessioni sul rilievo in piombo in piccolo formato in età moderna

Paola Angeleri
Palazzo dei Musei, Pinacoteca di Varallo
Dal Sacro Monte al museo. Le superfici come recupero del contesto

Lorenzo Principi
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Uno strato sull’altro, e poi la pelle: le sculture polimateriche di Iacopo Sansovino

2a Sessione 15.00 – 19.00
[modera Paola D’Agostino]

Letizia Ciarlo
Università degli Studi di Genova
“I lavori dorati antichi duravano longhezza d’anni”. Regole, trasgressioni e questioni corporative nella Genova di Cinque e Seicento

Gerardo Moscariello
Università degli Studi di Bologna
Un bronzetto conteso. Stile, tecnica e materia del San Sebastiano di Pietro Tacca

Alejandro Elizalde Garcia
Sapienza Università di Roma
Tra pittori, artigiani e imagineros: la scultura policroma del Siglo de Oro spagnolo

Nicola Ciarlo
Studioso indipendente
Marmo come cera nell’ecfrasi barocca e nella prassi di Giuliano Finelli

Davide Lipari
Sapienza Università di Roma
I colori della terracotta: casi studio tra Sei e Settecento

VENERDÌ 29 NOVEMBRE

1a Sessione 9.30 – 13.00
[modera Andrea Bacchi]

Andrea Daninos
Studioso indipendente
Malleabile e ingannevole: falsi medicei in cera

Antonio Cipullo
Fondazione 1563 di Torino
Antonio Corradini e la superficie come cifra stilistica

Paolo Plebani
Accademia Carrara di Bergamo
Duro come il porfido: tecnica della scultura a metà dell’Ottocento a Firenze

Valeria Rotili
Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma
“Non resti che il solo ritocco del professore”: prassi, strumenti e figure professionali per il completamento delle sculture in marmo nella seconda metà del XVIII secolo

Stefania Ventra
Università Ca’ Foscari di Venezia
La scuola sulla pelle. I gessi delle accademie d’arte e la loro conservazione, tra estetica e storia

2a Sessione 15.00 – 19.00
[modera Barbara Cinelli]

Gianmarco Russo
Scuola Normale Superiore di Pisa
Marino Marini: varianti in superficie

Valentina Raimondo
Università degli Studi di Bergamo
“Il poeta deve dominare il linguaggio, lo scultore deve dominare la materia”. Giacomo Manzù e la poetica delle superfici

Giorgio Motisi
Scuola Normale Superiore di Pisa
“Come una pianta che fa le foglie”. Leoncillo naturalista

Biancalucia Maglione
Università per stranieri di Siena
“I would like color to be an accompaniment to my meaning”. Intorno alle sculpto-peintures di Mary Callery e Fernand Léger (1943-1949)

Laura Calvi
Museo nazionale dell’arte digitale di Milano
“La Nanda Vigo non fa fantascienza”. Cronotopi e opere d’arte abitate

SABATO 30 NOVEMBRE

1a Sessione 9.30 – 13.00
[modera Giulia Zaccariotto]

Giulia Zaccariotto
Accademia Carrara di Bergamo
La storia della fruizione tattile delle opere esposte nelle sale del museo

Paolo Plebani
Accademia Carrara di Bergamo
Valori tattili: una sfida per la conservazione

Lucia Cecio
Accademia Carrara di Bergamo
Valori tattili: superfici narranti. Le sculture della collezione Zeri

Valeria Bottalico
Esperta di educazione al patrimonio e accessibilità museale
Valori tattili: superfici narranti. Medaglie e placchette della collezione Scaglia

Samanta Seno
Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti
L’esplorazione tattile come metodo di conoscenza e comunicazione

Laboratorio a cura dei Servizi Educativi

CONTENUTI UTILI

BIOGRAFIE RELATORI E CURATORI

Giulia Zaccariotto
Formatasi presso l’Università degli Studi di Milano e la Scuola Normale Superiore di Pisa, è attualmente Curatrice della Scultura e delle Arti Applicate presso l’Accademia Carrara di Bergamo. Si è occupata principalmente di opere seriali in bronzo (medaglie, placchette, bronzetti) delle quali ha sondato aspetti tecnici, iconografici, stilistici e rituali, grazie a finanziamenti di istituzioni quali il Getty Research Institute di Los Angeles e Villa i Tatti, the Harvard University Center for Italian Renaissance Studies.

Gianmarco Russo
Si è formato presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore, dove ha discusso una tesi di dottorato sulla giovinezza di Alvise Vivarini. Attualmente è assegnista di ricerca presso la Scuola Normale e collaboratore scientifico della Fondazione Marino Marini di Pistoia. I suoi interessi riguardano la pittura veneziana fra Quattro e Cinquecento, la letteratura artistica e la scultura fra Otto e Novecento. Attualmente sta lavorando a una monografia sull’impatto e sulla presenza di Marino Marini in Europa Settentrionale negli anni Cinquanta.

Paolo Parmiggiani
Ha conseguito il dottorato presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II su temi di scultura quattrocentesca toscana. Attualmente è assegnista di ricerca presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e collabora al catalogo delle sculture del Museo Nazionale del Bargello di Firenze, per il quale cura l’archivio digitale delle fotografie storiche.

Lorenzo Mascheretti
Formatosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, è dottore di ricerca in Storia dell’arte moderna. È stato vincitore del Premio Erminia Bretschneider per la Storia dell’Arte e dell’Architettura 2023. La sua ricerca è incentrata sulla storia dell’arte nord-italiana tra XV e XVI secolo, con interesse alla tarsia lignea rinascimentale e all’indagine sui contesti di committenza, produzione e circolazione delle opere d’arte.

Virna Ravaglia
Addottoratasi all’Università degli Studi di Genova (relatore D. Sanguineti), si occupa di scultura in terracotta del Cinquecento emiliano e di medaglistica reggiana dello stesso secolo, temi sui quali ha pubblicato diversi contributi. Ha prestato servizio presso la Galleria Estense di Modena, dove ha lavorato al riordino del medagliere. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Bologna, all’interno del progetto di catalogazione del patrimonio museale d’ateneo.

Paola Angeleri
Addottoratasi presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulle fasi tardo cinquecentesche del Sacro Monte di Varallo, argomento sul quale ha pubblicato diversi contributi, è attualmente direttrice del Palazzo dei Musei, Pinacoteca di Varallo e Museo Calderini.

Lorenzo Principi
Si presso è formato presso l’Università degli Studi di Perugia e l’Università degli Studi di Genova, dove ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca con una tesi sullo scultore toscano Silvio Cosini. Dopo un assegno di ricerca triennale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, è attualmente assegnista presso il DHMoRe dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. I suoi interessi sono principalmente rivolti verso la scultura italiana di età moderna, con particolare attenzione agli artisti dell’entourage di Michelangelo e all’influsso di Leonardo da Vinci.

Letizia Ciarlo
Dottoranda dell’Università degli Studi di Genova (relatore M.C. Galassi), si occupa della doratura e del mestiere del battiloro e dell’indoratore a Genova dal XV al XVII secolo, temi sui quali ha pubblicato svariati contributi. Ha approcciato la materia anche dal punto di vista tecnico scientifico, elaborando un metodo per analizzare in maniera non invasiva la doratura sulle opere d’arte lignee.

Gerardo Moscariello
Formatosi presso l’Università degli Studi di Bologna, dove è attualmente dottorando con una tesi sullo scultore Pietro Tacca (relatore A. Bacchi), si occupa più in generale di temi di scultura barocca e ha recentemente collaborato allo studio della collezione di terrecotte di Gimmo e Roberta Etro e alla mostra di Ajaccio Bologne au siècle des Lumières.

Alejandro Elizalde Garcia
Formatosi tra le Università di Salamanca, Bologna e Madrid, è attualmente dottorando presso La Sapienza. Università di Roma (cotutela Universidad Autónoma de Madrid; relatori A. Bacchi, F. Freddolini e J. L. González García), dove sta approfondendo l’impatto e la circolazione della scultura barocca italiana, con particolare interesse per quella toscoromana, nelle corti di Carlo II (1665-1700) e Filippo V (1700-1746), nonché negli scultori spagnoli. È cultore della materia in Storia dell’Arte Moderna presso lo stesso ateneo.

Nicola Ciarlo
Si è formato presso l’Università degli Studi di Firenze, dove ha conseguito anche il titolo di dottorato. La sua attività di ricerca verte sulla scultura barocca, romana e napoletana e tardobarocca fiorentina, temi sui quali ha all’attivo diverse pubblicazioni all’interno di miscellanee e riviste nazionali e internazionali. Ha partecipato al team che si è occupato del progetto di schedatura delle opere di scultura del complesso Vittoriano e Palazzo Venezia di Roma.

Davide Lipari
Formatosi presso le Università di Firenze e di Bologna, Davide Lipari è attualmente dottorando presso l’Università di Roma Sapienza, dove svolge uno studio monografico su Ercole Ferrata. Davide si occupa soprattutto di scultura barocca romana ed emiliana. È attualmente in corso, presso la Galleria Estense di Modena, una mostra da lui curata insieme ad Andrea Bacchi e a Federico Fischetti, dedicata alle opere plastiche della collezione Guandalini-Kabaivanska.

Andrea Daninos
Storico dell’arte indipendente, è uno dei massimi esperti di scultura in cera dell’età moderna. Ha all’attivo numerose pubblicazioni in riviste scientifiche e monografie (in ultimo Gaetano Giulio Zumbo 1656-1701), nonché edizioni critiche (Storia del ritratto in cera di Julius von Schlosser) ed esposizioni (Avere una bella cera: le figure in cera a Venezia e in Italia, Venezia, Palazzo Fortuny 2012).

Antonio Cipullo
Dopo gli studi presso l’Università Statale di Milano e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, consegue il dottorato presso l’Università di Udine con una tesi su Antonio Corradini. I suoi interessi di ricerca sono principalmente rivolti all’arte veneta d’età barocca. Attualmente, ricopre il ruolo di borsista presso la Fondazione 1563, dove sta conducendo un progetto sulla ricezione dell’arte barocca a Venezia negli anni Trenta, con particolare attenzione all’istituzione del Museo del Settecento Veneziano di Ca’ Rezzonico.

Paolo Plebani
È conservatore responsabile del patrimonio dell’Accademia Carrara di Bergamo. Si è formato e addottorato presso l’Università degli Studi di Milano lavorando su temi di pittura veronese rinascimentale, per poi dirigere i suoi studi su quella lombarda e veneta tra XVI e XVIII secolo. È docente a contratto presso l’Università degli Studi di Pavia, sede di Cremona, per l’insegnamento di Museologia.

Valeria Rotili
Formatasi all’Università di Roma Tre, nello stesso ateneo ha conseguito il dottorato di ricerca ed è stata assegnista di ricerca (2018-2019 e 2021-2022); nel 2007 si è diplomata alla scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Roma. Attualmente funzionaria storica dell’arte presso la Soprintendenza Speciale di Roma, Archeologia, Belle Arti, Paesaggio. Le sue ricerche hanno come oggetto principale le prassi artistiche e la ricezione dei modelli antichi tra Sette e Ottocento.

Stefania Ventra
Si è formata presso la Sapienza Università di Roma ed è attualmente professoressa associata di Museologia e critica artistica e del restauro presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. I suoi studi vertono principalmente intorno alla cultura artistica di matrice accademica nel XVII e XIX secolo e alla storia della conservazione e del restauro. A questi temi ha dedicato contributi in riviste scientifiche, volumi collettanei e monografie, tra le quali L’Accademia di San Luca nella Roma del secondo Seicento. Artisti, opere, strategie culturali.

Valentina Raimondo
È assegnista di ricerca presso il Centro di Ateneo “CISAlpino Institute for Comparative Studies in Europe” dell’Università degli studi di Bergamo con un progetto su Giacomo Manzù e i materiali da lui usati. Si occupa di arte italiana del XX secolo con una particolare attenzione per la scultura argomento sul quale ha pubblicato saggi e monografie. Ha collaborato, tra gli altri, con gli Archivi Guttuso, l’Archivio Severini Franchina, la Fondazione Giorgio Cini, la Fondazione Helenita e Aligi Sassu e Il Vittoriale degli Italiani.

Giorgio Motisi
È dottorando alla Scuola Normale di Pisa con un progetto di ricerca sull’attività critica di Francesco Arcangeli e le vicende dell’Ultimo Naturalismo. Si è formato a Pisa e nel 2022 è stato research fellow presso il Center for Italian Modern Art di New York. Le sue ricerche e pubblicazioni riguardano soprattutto la ritrattistica del Novecento, episodi di fortuna dell’antico e i rapporti tra arte italiana e statunitense nel secondo dopoguerra.

Biancalucia Maglione
Biancalucia Maglione ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’arte contemporanea all’Università di Firenze ed è attualmente assegnista di ricerca all’Università per Stranieri di Siena nell’ambito del PRIN 2022 BorderArt(E)Scapes. Si occupa in particolare di mercato e collezionismo tra le due guerre, nonché di scultura contemporanea. Sta ultimando una monografia sulla scultrice Mary Callery (Éditions Fage – Fondation Giacometti).

Laura Calvi
Si è formata tra l’Università degli Studi di Milano e l’Università degli Studi di Udine. Attualmente è curatrice del Museo Nazionale dell’Arte Digitale e docente a contratto di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Milano. Ha collaborato come consulente scientifica con la Fondazione Marino Marini di Pistoia, è stata per vari anni exhibition manager alla Fondazione Prada di Milano, assistente curatrice al Museo del Novecento ed ha collaborato con gli Archivi Editoriali Domus e l’Archivio Ugo Mulas.

Lucia Cecio
Formatasi presso la Sapienza Università di Roma, è attualmente dottoranda presso l’Università di Milano-Bicocca in Education in the Contemporary Society e dal 2018 responsabile dei servizi educativi dell’Accademia Carrara di Bergamo, dove si occupa di progettazione e coordinamento delle attività, dei percorsi e degli strumenti destinati ai diversi pubblici. Specializzata in educazione al patrimonio è socia fondatrice dell’Associazione Italiana Educatori Museali.

Valeria Bottalico
È storica dell’arte e filologa, specializzata in diritti umani, servizi educativi e accessibilità museale. Collabora con numerosi musei e istituti culturali per i quali forma il personale, crea e coordina attività educative occupandosi progettazione partecipata. Ideatrice e curatrice di svariati progetti di accessibilità per persone cieche e persone sorde, dal 2019 è responsabile dei servizi educativi presso il centro Ocean Space di Venezia.

Samanta Seno
Laureata in Scienze Storiche e Antropologia Culturale presso l’Università di Milano-Bicocca è mediatrice dell’Accademia Carrara di Bergamo e conduce percorsi tattili e sensoriali per diverse istituzioni culturali. È socia dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.

ABSTRACT DEGLI INTERVENTI

Paolo Parmiggiani – Scuola Normale Superiore di Pisa
Varietà e sottigliezza dell’intaglio marmoreo: il ruolo dei settignanesi nella scultura fiorentina del Quattrocento
Nella seconda metà del Quattrocento, la scultura marmorea fiorentina raggiunge nuovi livelli tecnici ed espressivi grazie all’apporto dei maestri settignanesi. Artisti come Antonio Rossellino, Desiderio da Settignano e Giovanni di Bertino si affermano quali principali esponenti di una tradizione d’intaglio dedita alla resa naturalistica di figure e ornati, perfezionando l’eredità donatelliano-michelozziana e ponendo le basi per le prassi scultoree dei secoli successivi. Sebbene i settignanesi siano da tempo al centro degli studi, manca ancora un’analisi approfondita delle loro tecniche di lavorazione, dei rapporti tra le diverse personalità e delle dinamiche lavorative che portarono queste figure a intervenire in modo significativo nelle opere fiorentine e di altri contesti. Il presente contributo intende avviare una lettura di questi aspetti, basandosi in parte su casi ignoti o non pienamente indagati.

Lorenzo Mascheretti – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
“Incidere” la tarsia lignea. Note sulla pratica della profilatura
Tra le operazioni finali della filiera di produzione dell’intarsio, la profilatura consiste nel tracciare una texture grafica, corrispondente generalmente ai “profili” dei soggetti rappresentati, sul mosaico di tessere lignee altrimenti muto. Tra XV e XVI secolo tale pratica è svolta attraverso la pirografia o più spesso mediante l’incisione di sottili solchi sulla superficie, poi riempiti con paste scure. L’analisi di quest’ultima modalità in alcuni studi di casi di primo Cinquecento in area norditaliana consente di ragionare sulla sua versatilità e sulle sue potenzialità espressive, in una fase in cui la tarsia si pone in competizione mimetica con la pittura coeva.

Virna Ravaglia – Università degli Studi di Bologna
Morbide superfici: riflessioni sul rilievo in piombo in piccolo formato in età moderna
L’intervento si propone come una riflessione sul rilievo in piombo, in particolare in ambito medaglistico, in età moderna. Partendo da alcune considerazioni sulle qualità metallotecniche di questo materiale e sulla fortuna della sua percezione, il discorso si concentrerà su un’analisi dell’utilizzo del piombo sia nel senso di una sua predilezione come materiale economico e di facile lavorazione – dunque utilizzato anche per la realizzazione di repliche di oggetti originariamente creati in altri materiali, come il bronzo –, sia nel senso di un sfruttamento delle potenzialità di questo metallo, che consente, data la sua lavorabilità anche dopo la fusione, minuziose e complesse finiture a freddo, non sempre facilmente apprezzabili a pieno a causa delle difficili condizioni di conservazione del materiale. Si prenderanno in considerazioni casi dal XV al XVIII secolo, da Pisanello a Guillaume Dupré, passando per il singolare caso della medaglistica reggiana di secondo Cinquecento, per la quale il piombo costituì un materiale pressoché esclusivo.

Lorenzo Principi – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Uno strato sull’altro, e poi la pelle: le sculture polimateriche di Iacopo Sansovino
L’intervento si concentrerà sull’attività di modellatore di Iacopo Sansovino, il grande scultore fiorentino esule a Venezia, celebrato da Giorgio Vasari (1568) proprio per la “movenza e fierezza” di “ogni suo schizzo o segno o bozza”. Il focus non saranno tuttavia le opere fittili o quelle in cartapesta, oggetto soprattutto queste ultime di un ampio e recente interesse da parte della critica, quanto le opere polimateriche costruite strato su strato, con un’anima lignea rivestita di tessuto, ricoperta di cera poi indorata o dipinta. Tale approccio costituisce un punto di vista privilegiato per approfondire il complicato rapporto tra interno ed esterno della scultura, tra scheletro e superficie, e indagare in che modo le relazioni interne della scultura si riflettano o meno sulla sua pelle. Spesso infatti la fragilità e precarietà di tali opere, e soprattutto le inevitabili alterazioni della superficie hanno decretato la loro sfortuna e una posizione di subordinazione nel catalogo dell’artista rispetto a quelle in marmo e in bronzo, nonché un’incertezza attributiva e un confinamento nella sua produzione seriale. Al contrario proprio in queste opere, utilizzate poi probabilmente come materiali di bottega, si possono cogliere la cifra peculiare del grande scultore e tutta la sua foga artistica, che fanno del Sansovino la grande altra via della scultura italiana del Cinquecento oltre a quella di Michelangelo.

Letizia Ciarlo – Università degli Studi di Genova
“I lavori dorati antichi duravano longhezza d’anni”. Regole, trasgressioni e questioni corporative nella Genova di Cinque e Seicento
L’intervento offre un nuovo punto di vista sulle dorature a Genova tra il XVI e il XVII secolo. La definizione degli attori in gioco – pittori, doratori e battiloro – nonché il rapporto normativo tra le relative corporazioni saranno il punto di partenza della presente ricostruzione. Sappiamo che la collaborazione tra le professioni esisteva da secoli, ma soltanto negli anni Venti del Cinquecento è stata ufficializzata a livello formale. In prossimità di questa data, numerosi pittori illustri continuano a figurare all’interno della corporazione di “pittori e scudai”, ricoprendo la carica consolare e siglando l’accordo con i battiloro, prove tangibili del persistente legame della pittura con la pratica artigianale. Un punto chiave dell’intervento sarà la presentazione di un importante rinvenimento archivistico, ovvero la stesura originale dell’accordo del 1520, contenente la foglia d’oro depositata presso la magistratura del Censori come prototipo di produzione, siglata dalle parti coinvolte nella compravendita, ovvero pittori, doratori e battiloro. Il documento fornisce una fotografia sulla situazione corporativa delle arti, sul costo della lamina e inediti dati tecnici, quali la composizione, lo spessore e la dimensione della foglia d’oro prodotta nel dominio genovese. Al fine di caratterizzare lo standard produttivo, inoltre, è stata necessaria l’adozione di una metodologia interdisciplinare, che potesse combinare le informazioni provenienti dalle fonti archivistiche con una campagna diagnostica condotta direttamente sul prototipo della lamina attraverso la spettroscopia di fluorescenza a raggi X (XRF).

Gerardo Moscariello – Università degli Studi di Bologna
Un bronzetto conteso. Stile, tecnica e materia del San Sebastiano di Pietro Tacca
L’intervento si propone di riconsiderare l’invenzione del Martirio di San Sebastiano di Pietro Tacca, un bronzetto dalla paternità lungamente dibattuta e ancora contesa con lo scultore bavarese Georg Petel. A partire dall’esame stilistico dell’opera, si proporrà una tassonomia fondata sull’individuazione di tre principali modelli e relativi prototipi, utili a schedare quasi quaranta esemplari oggi noti. Un aspetto cardinale di questo studio è rappresentato dall’esame delle caratteristiche superficiali di ciascun bronzetto che consentono di distinguere gli elementi imputabili a Tacca in quanto ideatore del modello dagli aspetti riferibili all’esecutore materiale dei diversi esemplari. Oltre ai più generali problemi dell’autografia, delle varianti e delle copie, il contributo toccherà anche il tema della vicenda collezionistica di specifiche statuette e dell’enorme fortuna figurativa dell’originaria invenzione.

Alejandro Elizalde Garcia – Sapienza Università di Roma
Tra pittori, artigiani e imagineros: la scultura policroma del Siglo de Oro spagnolo
La scultura spagnola del XVII secolo, come in altri periodi, fu il risultato di un lavoro congiunto tra scultori, immaginieri e pittori/policromatori, ciascuno incaricato di una fase specifica del processo creativo di ogni talla. Questa collaborazione, strutturata secondo la gerarchia delle corporazioni che regolava il processo artigianale e artistico, portò alla creazione di sculture di natura mista, in cui sia la forma sia la superficie finale erano ugualmente rilevanti. Tuttavia, era la policromia a conferire “realtà” all’immagine poiché, attraverso il colore, essa smetteva di essere un oggetto inerte per trasformarsi in un’autentica personificazione del soggetto rappresentato, sia sacro che profano. La presente comunicazione ha come obiettivo, in primo luogo, affrontare aspetti di carattere eminentemente tecnico per facilitare la comprensione del processo creativo delle sculture policrome. Tale approfondimento ci permetterà, in secondo luogo, di analizzare gli “engaños a la vista” provocati dal colore, che trasformano il fittizio in un’illusione di realtà. Questo confronto metterà in evidenza le marcate differenze negli usi, nelle funzioni e nei principi estetici tra la scultura spagnola e quella italiana, spiegando perché queste, talvolta, non riuscirono ad adattarsi efficacemente ai contesti esterni ai loro luoghi di origine.

Nicola Ciarlo – Studioso indipendente
Marmo come cera nell’ecfrasi barocca e nella prassi di Giuliano Finelli
Il presente intervento intende tracciare la fortuna, all’interno della letteratura barocca, del concetto di ”marmo come cera” espresso a proposito dell’opera di scultori come Giuliano Finelli e Gian Lorenzo Bernini. Il riesame del restauro dell’Ares Ludovisi offre inoltre l’occasione per restituire definitivamente a Finelli l’integrazione del putto ai piedi di Marte, per tradizione attribuito a Bernini.

Davide Lipari – Sapienza Università di Roma
I colori della terracotta: casi di studio tra Sei e Settecento
L’analisi di documenti editi e inediti, soprattutto emiliani e romani, insieme allo studio dei manufatti giunti sino a noi, consente di mettere a fuoco come, durante l’età barocca, le terrecotte venissero spesso rivestite con patine policrome (naturalistiche) o monocrome (imitanti materiali più preziosi), oppure trattate con sostanze grasse per uniformarne le superfici. A partire dal Novecento, le patine antiche sono state frequentemente rimosse attraverso tecniche di pulitura mirate, ma alcune opere sono sfuggite a tali interventi di restauro. In alcuni casi, le vernici scomparse sono documentate da fotografie. Esaminando le carte d’archivio e le immagini, questo intervento approfondirà l’impatto dei restauri moderni sulla nostra percezione delle terrecotte barocche.

Andrea Daninos – Studioso indipendente
Malleabile e ingannevole: falsi medicei in cera
Il collezionismo di opere in cera policroma, nella maggior parte dei casi ritrattini, si sviluppa principalmente in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, sulla scia della più generale riscoperta delle Arts industriels del Medioevo e del Rinascimento. In parallelo fiorì una notevole produzione di falsi, molti dei quali già identificati dal relatore come opera dell’orafo e restauratore parigino Alfred André. La relazione verterà sulla vasta produzione, sinora non indagata, di ritrattini in cera raffiguranti membri della dinastia dei Medici, sovente ritenuti opere del XVI e del XVII secolo, in realtà realizzati da alcuni falsari attivi a Firenze nella seconda metà del XIX secolo, i cui nomi vennero identificati nei primi anni del Novecento in un dattiloscritto inedito dal collezionista fiorentino di ceroplastica Giuseppe Carobbi.

Antonio Cipullo – Fondazione 1563 di Torino
Antonio Corradini e la superficie come cifra stilistica
L’intervento si propone di analizzare la superficie come cifra stilistica nell’opera di Antonio Corradini (1688-1752), con particolare attenzione alle celebri figure velate, autentico “marchio di fabbrica” dello scultore veneziano. Attraverso una disamina delle velate realizzate per Venezia, Udine, San Pietroburgo, Roma e Napoli, si evidenzierà come Corradini abbia progressivamente trasformato la resa della velatura, passando inizialmente a una restituzione sintetica e asciutta, caratterizzata da pieghe sottili e verticali, fino a esecuzioni di grande monumentalità, in cui il panneggio si infittisce, creando effetti scenografici di ineguagliabile virtuosismo. La distribuzione oculata di queste opere conferì loro un’aura di eccezionalità, evitando l’inflazione del soggetto e consolidando il prestigio dell’artista sulla scena europea. Inoltre, si approfondiranno l’uso delle figure velate come strumenti di autopromozione e il ruolo di Corradini nel Collegio degli Scultori veneziano, con particolare attenzione alla rivalità con Antonio Gai, unico contemporaneo in grado di competere con lui in questa specifica produzione. La disamina delle superfici non si limita alle velate: il trattamento diversificato del marmo in altre opere testimonia la ricerca incessante di Corradini nel modulare la pelle della scultura per ottenere l’effetto espressivo desiderato, come nella Prudenza dell’Arco Foscari e in alcuni brani dell’Altare del Santissimo Sacramento di Este.

Paolo Plebani – Accademia Carrara di Bergamo
Duro come il porfido: tecnica della scultura a metà dell’Ottocento a Firenze
La vicenda dell’artigiano fiorentino Luigi Tonti, inventore di strumenti adatti a lavorare una pietra tenace come il porfido, consente di entrare nel vivo di una stagione di revival di questo materiale che si colloca a Firenze intorno alla metà dell’Ottocento. Intrecciando la stampa periodica dell’epoca e la documentazione conservata presso l’archivio storico dell’Opificio delle Pietre dure, che promuoveva in quegli anni l’utilizzo del porfido nella scultura monumentale e nelle attività di restauro, l’intervento offrirà una sintetica panoramica su questa congiuntura e sul dibattito tecnico che la accompagnò.

Valeria Rotili – Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma
“Non resti che il solo ritocco del professore”: prassi, strumenti e figure professionali per il completamento delle sculture in marmo nella seconda metà del XVIII secolo
Le carte dell’archivio privato degli scultori Carlo e Filippo Albacini, conservato presso l’Accademia Nazionale di San Luca, offrono un punto di vista interno per analizzare lo sviluppo e i mutamenti della professione scultorea e vari aspetti a essa correlati. L’archivio Albacini è composto principalmente da lettere, minute di risposta, conti, ricevute, alcuni registri di entrate e spese dello studio di scultura, e copre un periodo che va dalla fine degli anni cinquanta del Settecento alla seconda metà dell’Ottocento. Il nucleo più consistente di carte riguarda la corrispondenza di Carlo Albacini, che, pur essendo riconosciuto come uno tra i più noti e attivi artisti della seconda metà del Settecento, rimane tuttora una figura dai contorni poco nitidi. Questo vasto patrimonio, ancora in fase di studio, rappresenta un punto di partenza che, grazie all’epistolario con altri artisti dell’epoca, tra cui i piemontesi Filippo e Ignazio Collino, consente di far emergere aspetti legati allo svolgimento della professione scultorea, alle prassi e alla diffusione delle tecniche: le cui tracce sono visibili sulla superficie dei marmi. Allo stesso tempo, emerge un quadro dell’atelier, impegnato nella realizzazione di opere originali, copie, restauri ed eccellenti esecuzioni, con il coinvolgimento di diverse maestranze per rispondere a richieste crescenti e diversificate. Si analizzeranno così i principali metodi e l’uso specifico di alcuni “ferri del mestiere”, insieme alle figure professionali (interne ed esterne all’atelier) indispensabili per lavorare sulla superficie delle sculture e completare le opere secondo le istanze della seconda metà del Settecento.

Stefania Ventra – Università Ca’ Foscari di Venezia
La scuola sulla pelle. I gessi delle accademie d’arte e la loro conservazione, tra estetica e storia
Il contributo nasce dalla recente operazione di ricognizione della raccolta dei gessi già impiegati nella scuola d’arte dell’Accademia Carrara, attualmente conservati nei depositi del Museo. Con un destino comune a molte gipsoteche didattiche, i pezzi, che riproducono sculture antiche e moderne considerate modelli utili alla formazione artistica, portano sulla pelle i segni della funzione che hanno ricoperto tra Otto e Novecento. Queste tracce riguardano misurazioni utili alla realizzazione di copie, residui di materiali impiegati nelle scuole, come pigmenti, ma anche scritte di natura goliardica e firme degli studenti stessi. Nell’ambito di una temperie che osserva ormai da decenni il recupero delle gipsoteche didattiche ad ogni latitudine, l’intervento intende fornire degli spunti di riflessione sulle scelte di restauro di questo tipo di materiali, nel delicato – e forse per molti versi impossibile – equilibrio tra la valorizzazione estetica dei pezzi e la conservazione dei segni lasciati dalla loro storia conservativa, indistricabilmente connessa all’istanza funzionale che, di fatto, era condizione esclusiva della loro presenza nelle collezioni delle accademie d’arte.

Gianmarco Russo – Scuola Normale Superiore di Pisa
Marino Marini: varianti in superficie
Dal 1939, anno della III Quadriennale di Roma, in avanti, Marino Marini intese presentarsi al pubblico come indiscusso maestro della perizia tecnica. Esponendo una Giovinetta in gesso assieme a quattro ritratti condotti in quattro materiali differenti (cera, terracotta, bronzo e pietra), lo scultore si cimentò in una prova dall’ardita sperimentazione stilistica, evidente nelle superfici vibranti delle sue figure e nell’incanto cromatico-luminoso che ne scaturiva, soprattutto in rapporto alla serrata architettura delle forme. Questo intervento vuole analizzare il trattamento delle superfici della scultura di Marino concentrandosi sulle opere in bronzo realizzate a partire dalla fine degli anni Quaranta del Novecento. Dopo una breve introduzione storiografica, la relazione si concentrerà sulle opere bronzee di Marino, privilegiando il problema della seriazione interna dei bronzi a tiratura multipla. Attraverso una nuova lettura delle sculture e della documentazione d’archivio, l’intervento si propone di raccontare la scultura in bronzo di Marino con uno specifico interesse filologico non solo per la storia degli stili ma anche per quella delle tecniche artistiche del Novecento. Interesse che permetta di distinguere, all’interno di ogni serie di opere, le diverse edizioni; per ogni esemplare, il differente trattamento delle superfici; e, sulle superfici, le disparate morfologie di patinatura e di finitura.

Valentina Raimondo – Università degli Studi di Bergamo
“Il poeta deve dominare il linguaggio, lo scultore deve dominare la materia”. Giacomo Manzù e la poetica delle superfici
La pluralità dei materiali adoperati da Giacomo Manzù lungo l’arco della sua carriera rappresenta per lui un’occasione di ricerca tanto da un punto di vista tecnico che formale. Il suo approccio non pone tanto la tecnica al centro del suo lavoro, quanto piuttosto la esalta quale elemento utile a mantenere un equilibrio con la sua ispirazione interiore. Questo gioco armonico è visibile nelle sue sculture e in particolare attraverso l’osservazione delle superfici. La trattazione di queste ultime inoltre varia a seconda del materiale scelto dall’artista. L’intervento offrirà una panoramica generale su tali differenze e si concentrerà sull’analisi dei materiali e delle tecniche, e sulla loro collocazione all’interno del percorso dello scultore a partire da alcuni casi specifici.

Giorgio Motisi – Scuola Normale Superiore di Pisa
«Come una pianta che fa le foglie». Leoncillo naturalista
Due importanti personali romane di Leoncillo – alla Galleria La Tartaruga, nel marzo del 1957, e all’Attico, con presentazione di Francesco Arcangeli, nell’autunno del 1958 – segnano i confini temporali di una stagione unica per il lavoro dell’artista umbro. Nel corso di questo biennio, Leoncillo si dedicò infatti quasi esclusivamente a opere di soggetto naturale: foglie, alberi, cespugli, fenomeni atmosferici. Questo tentativo di misurarsi con il concetto di Natura lo portò presto ad affrontare sfide inedite, tanto dal punto di vista delle soluzioni formali, quanto da quello della concreta prassi esecutiva, stabilendo delle premesse determinanti anche in vista del percorso successivo dello scultore. Per Leoncillo, inoltre, si trattò di una fase di profondo ripensamento degli obiettivi e del significato stesso da attribuire al proprio lavoro. Muovendo da queste considerazioni, l’intervento propone una riflessione intorno ai presupposti e agli sviluppi di questa fase dell’attività dell’artista, con una particolare attenzione per la funzione assunta, agli occhi del pubblico, della critica e dello stesso scultore, dalla policromia e dagli interventi di alterazione delle superfici dei suoi lavori.

Biancalucia Maglione – Università per stranieri di Siena
«I would like color to be an accompaniment to my meaning». Intorno alle sculpto-peintures di Mary Callery e Fernand Léger (1943-1949)
Nel 1930 la scultrice e collezionista americana Mary Callery lasciò New York per trasferirsi a Parigi, dove visse stabilmente fino al 1940 ed ebbe modo di entrare in contatto con il più aggiornato milieu artistico cittadino. Tornata in patria, ella continuò a coltivare alcuni dei legami stretti nella capitale francese, tra i quali spicca in modo particolare quello con Fernand Léger, costretto all’esilio newyorkese nel periodo bellico. I due artisti collaborarono fianco a fianco in due occasioni, nel 1943 e nel 1949, realizzando delle ‘sculpto-peintures’ – gessi in cui la struttura plastica di Callery si combinava con l’intervento cromatico di Léger.Tale collaborazione ebbe un impatto reciproco: se da una parte Callery cominciò, a partire da questi progetti condivisi, a interessarsi costantemente all’uso del colore nelle sue sculture e a servirsi di inserti colorati non soltanto sulla superficie delle opere in gesso, Léger ammise di aver iniziato a riflettere sulle possibilità offerte dalla scultura proprio durante il suo periodo americano, grazie alle opere realizzate con Callery. Il presente intervento si propone di analizzare la collaborazione tra Léger e Callery sia esaminando sistematicamente il corpus di opere giunto fino a noi, sia attraverso l’analisi di fonti edite e inedite, in particolare il carteggio tra i due artisti. Questo materiale consente di approfondire aspetti come l’originaria destinazione delle opere e il diverso approccio della scultrice e del pittore al tema della policromia.

Laura Calvi – Museo nazionale dell’arte digitale di Milano
“La Nanda Vigo non fa fantascienza”. Cronotopi e opere d’arte abitate
Nanda Vigo negli anni Sessanta elabora un modulo scultoreo, il Cronotopo, una struttura quadrangolare in vetro e metallo, che diviene la sintesi delle sue ricerche sia nella strutturazione di opere ambientali, sia nei progetti di architettura d’interni. Il Cronotopo è formato da diversi strati di vetro quadri-onda, dove si alternano opacità e superfici satinate e, grazie alla retroilluminazione con neon, proiettano nell’ambiente una luce modulata: secondo l’artista deve condurre al benessere fisico e mentale dello spettatore. Il 1964 sarà un anno chiave, non solo per il lancio del Manifesto cronotopico, segno che tale ricerca giunge a maturazione, ma anche per l’intensificarsi dei rapporti con Lucio Fontana, col quale firma due ambienti in occasione della XIII Triennale di Milano, con Giò Ponti, con il quale realizza il progetto di una casa-museo a Malo, in provincia di Vicenza, e con il gruppo ZERO di Düsseldorf, insieme ai quali partecipa a diverse collettive internazionale. Attraverso uno spoglio sistematico della rivista “Domus” sono emersi articoli a lei dedicati o inediti da lei redatti, che offrono una lente speciale per leggere l’evoluzione stilistica di Vigo in questo decennio cruciale: l’elemento scultoreo, connotato da imminenti significati teoretici, diviene materia con la quale realizzare lavori diversi, spaziando dall’arredo d’interno ad opere ambientali. Alla base vi è sempre la ricerca dell’artista di produrre un ambiente in sintonia con l’essere umano, “la proposta per un nuovo modo di costruire lo spazio” (Ettore Sottssas Jr., 1964).

Giulia Zaccariotto – Accademia Carrara di Bergamo
La storia della fruizione tattile delle opere esposte nelle sale del museo
Le opere esposte nelle sale di un museo non raccontano solo la vicenda del committente che le ha richieste, dell’artista che le ha realizzate e dell’iconografia che mostrano a chi le osserva, ma osservandole con attenzione racchiudono spesso ancora le tracce di quella che era stata la loro storia di oggetti ‘toccati’ per le ragioni più disparate. Dalle medaglie, piccoli oggetti nati per essere rigirati tra le mani, alle placchette montate sui pomi delle spade per trasmettere coraggio o baciate durante la liturgia religiosa, fino ai reliquiari, toccati per chiedere la grazia ai santi. Non mancherà un affondo anche sulle opere che mostrano i segni delle mani di coloro i quali le hanno collezionate e amate. L’intervento intende ripercorrere le sale del museo e offrire al pubblico un punto di vista nuovo attraverso il quale leggere le sculture che in queste sono conservate ed esposte.

Paolo Plebani – Accademia Carrara di Bergamo
Valori Tattili: una sfida per la conservazione
Il progetto Valori Tattili presentato dai Servizi Educativi è stata una bella provocazione per i conservatori del museo. L’idea che alcuni visitatori potessero toccare le sculture al fine dell’esplorazione tattile ha sollecitato l’avvio di una campagna di monitoraggio delle condizioni di conservazione delle sculture svolto in stretta in collaborazione con il Centro Conservazione e Restauro dei Beni Culturali “La Venaria Reale”. L’intervento illustrerà questo progetto nelle sue diverse fasi: la redazione di accurate schede conservative; la realizzazione di campagne fotografiche in luce naturale e in luce UV; l’esecuzione di indagini diagnostiche non invasive; la programmazione di operazioni di manutenzione conservativa da svolgere sulle sculture oggetto dell’iniziativa.

Lucia Cecio, Valeria Bottalico, Samanta Zeno – Accademia Carrara di Bergamo
Il progetto Valori Tattili
Valori tattili è un progetto di accessibilità nato nel 2018 che propone di conoscere le sculture dell’Accademia Carrara attraverso il tatto. Dopo alcuni anni di sperimentazione con i pezzi della collezione di Federico Zeri, dal 2023 Valori tattili si amplia per includere diverse tipologie di oggetti: sculture, medaglie, dipinti. Grazie al bando per la rimozione delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali dei musei e luoghi della cultura privati del PNRR, Valori tattili è diventato un modello attraverso il quale ampliare la fruizione del museo in maniera trasversale e plurale. Ispirandosi ai principi del Design for All, i servizi educativi del museo hanno progettato e realizzato strumenti e materiali a disposizione di persone fragili e con disabilità sensoriali e cognitive, ma anche del pubblico più ampio, che desidera scoprire il patrimonio dell’Accademia Carrara da diversi punti di vista e in un’ottica inclusiva. Il laboratorio si rivolge a chi desidera attivare il senso del tatto come strumento di conoscenza e si rivolge a insegnanti ed educatori/educatrici ma anche a esperti della materia che vogliono approfondire il processo di costruzione dell’immagine reso possibile proprio grazie all’esplorazione tattile. Questo approccio integra ma non sostituisce il senso della vista e permette di osservare l’oggetto privilegiando punti di vista inediti e preziosi per scoprire l’opera d’arte.

Scarica la locandina digitale

Giorni e orari

Dal giovedì 28 novembre 2024 al sabato 30 novembre 2024

Location

Accademia Carrara, Ala Vitali

Biglietti e Prenotazioni

La partecipazione alle tre giornate di convegno è gratuita con prenotazione obbligatoria, da effettuarsi ai seguenti contatti:

 

+39 328 1721727
prenotazioni@lacarrara.it

 

Il convegno sarà trasmesso anche in diretta streaming

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